sabato 29 dicembre 2012

Come riutilizzare la cesta natalizia in giardino


immagine da archivio fotografico web
In questi giorni di festa, di ceste natalizie per casa ne abbiamo viste girare tutti, e di tutti i tipi. E magari abbiamo contribuito a farle circolare ulteriormente, riciclandole come regalo da destinare ad amici e parenti. Qualche cesta però alla fine ci rimane tra le mani lo stesso. Dopo averla vuotata del suo contenuto (di solito, di tipo alimentare, e quindi velocemente deperibile), la cesta di vimini ce l'abbiamo tra i piedi . Cosa farne?
Un utilizzo diffuso è quello di adoperarla come cesta per la biancheria da stirare o per conservarvi gli addobbi natalizi. Idee immediate che abbiamo avuto tutti.
Per chi è giardiniere, però, la cesta di vimini può avere un interesse pratico ulteriore. Ho provato a scervellarmi per immaginarne qualche impiego originale, oltre ai più classici. Ho chiesto consiglio anche a mio marito, ma mi ha risposto con uno sguardo di compatimento. Quando gli parlo di riciclo, mi dice che lo faccio perchè sono taccagna. Io gli rispondo che lo faccio perchè ho uno stipendio da fame, che è un problema ben diverso...
Elenco le mie soluzioni, di volta in volta da valutare, perchè sono sfruttabili in base alla forma e alla struttura della cesta. Ho messo anche quella del piccolo treillage, ma sospetto che sia difficile e troppo laboriosa da mettere in atto.

Per contenere vasi di piante ricoverate in casa: l'utilizzo più scontato. Potete, per decorazione, foderare la cesta con stoffe del colore preferito.
Per conservare bulbi e sementi: rifacendomi a dei suggerimenti dati da Carlo Pagani, ritagliate i fondi delle bottiglie di plastica vuoti per farne delle specie di bicchieri. Diventeranno i contenitori per piccoli bulbi o sementi, magari le stesse che avete raccolto nel vostro giardino. Inserite dei biglietti di carta con scritti i nomi delle varietà. Se nella cesta appena regalata c'era della paglietta di cellulosa (non di plastica), usatela per coprire i barattoli, se vi mettete i bulbi: li proteggerà dalla polvere, e li custodirà all'ombra asciutta fino a primavera o alla stagione della messa a dimora. Deponete la cesta in garage o in cantina (se non sono locali umidi), o ficcatela sopra un armadio, come faccio io, ma ricordatevi di lei quando sarà la stagione giusta.
Per proteggere gli ortaggi dal freddo, o dal caldo. Finocchi, sedani, scarole, pan di zucchero, catalogna et verdure similari in inverno vanno coperti con un vaso rovescio per diventare chiari e teneri. Ma potrebbero essere protetti, se li si coltiva in terrazzo, anche con una cesta di vimini profonda, rovesciata. Li manterrebbe al buio garantendo una certa circolazione dell'aria, se le maglie con cui è intrecciata non sono troppo strette, o se praticate dei fori sul fondo. Appoggiata su quattro bastoncini, uno per angolo, e sempre rovesciata, una cesta di minor spessore in estate può essere utile come mini serretta per piante delicate che non amano gli eccessi di sole, o per le plantule appena sbucate da terra.
Come setaccio: finita la bella stagione, una cesta a maglie un po' larghe può aiutare per recuperare i bulbi interrati in vaso e da separare dal terriccio.
Per deporre i sottovasi di terracotta o di plastica: in autunno, quando è tempo di pulizie e ricoveri. In primavera li ritroverete prontamente, puliti e in ordine, e soprattutto quando vi servono (io, disordinata come sono, in aprile passo ore alla ricerca disperata di sottovasi sparsi qua e là per il giardino dall'autunno precedente).
Per decorare i vasi di plastica o danneggiati e proteggerli dal freddo: staccate dalla cesta il fondo, se è possibile (certi cesti hanno una struttura portante di metallo, oppure in quasi tutti il fondo è tutt'uno con il resto del corpo del cesto), e avvolgetelo ai vasi per abbellirli. Se si ha una certa manualità, e più ceste simili fra di loro a disposizione, si può creare un intero pannello per nascondere l'orrido bidone per l'umido o la compostiera. Oppure, costruite un piccolo ma fichissimo:
Treillage per cactus rampicanti: tipo il selenicereus, che ha lunghi articoli che penzolano fuori dal vaso. Ripeto, usare i fondi non è facile e sempre possibile, perchè potrebbero sfaldarsi e i fasci di vimini sciogliersi dalla trama. Bisognerebbe fissarli con una pistola sparapunti ad un altro pannello. Per fare un mini treillage, si potrebbe tenere la struttura più grossa dell'intreccio e fermarla con dei punti di colla o di silicone. Oppure, se le fascette di cui è costituito il cesto sono sufficientemente flessibili, si potrebbero riutilizzare come legacci per fissare le piante ai tutori in estate (pomodori, peperoni ecc.). Ammetto che sono soluzioni per chi proprio non vuol tirar fuori un euro per comprarsi il graticcio e i legacci in vivaio...
Per essiccare le piante aromatiche: perchè no? Se il fondo della cesta è liscio, e magari il cesto è impilabile con altri cesti, potreste avere già a disposizione, senza doverlo fabbricare, un essiccatore elegantissimo e multiuso.
Per andare a funghi: ehmbe', chi va a funghi da tempo, riderà di questa banalità. Ma se non ci siete mai andati, e prima o poi vorreste provare, sappiate che avrete bisogno proprio di una cesta di vimini stretta e profonda, con manico ampio, da appoggiare alla spalla. Perchè una cesta di vimini? Perchè ha tanti buchetti, che permettono la diffusione delle spore, e quindi la moltiplicazione dei funghi, garantendo biodiversità e boschi ricchi per tutti negli anni a venire. Anche la raccolta dei funghi fa fatta con una certa etica!
Come porta pot-pourri: simpatica soluzione se disponete di cestini di ridotte dimensioni e di colore scuro (non si macchiano a causa dell'essenza profumata contenuta nei fiori essiccati). Badate ad appoggiarli su superfici che non si danneggino nel caso l'essenza filtrasse dal cestino. In caso, foderate il cestino con una pellicola di plastica.

La paglietta delle ceste natalizie, se di cellulosa, può servire: per il presepe dell'anno prossimo; per conservare i bulbi al buio e all'asciutto, come ho già scritto; come pacciamatura per le piante in giardino; come protezione invernale avvolta ai tronchi di alberelli giovani. O per avviare velocemente il camino da accendere, fate voi.
da archivio fotografico web

E se tutte queste soluzioni non vi soddisfano, foderate la vostra cesta con una copertina di ciniglia, e regalate al vostro gatto, o a quello di qualcun altro, un'irresistibile cuccia in cui acciambellarsi per tutto l'inverno. Sarete ricompensati con una ricca profusione di fusa!

CI VEDIAMO L'ANNO PROSSIMO. BUON 2013 A TUTTI!

venerdì 21 dicembre 2012

Come far sopravvivere la Stella di Natale... al Natale.


Stella di Natale 2011... quest'anno. Yes, it's a survivor.
 Alzi la mano chi non è mai stato sfiorato dall'idea di far sopravvivere la propria Stella di Natale fino al Natale successivo!

Le poinsettie, comunemente chiamate "Stelle di Natale", nome scientifico Euphorbia pulcherrima, sono originarie del Messico. Devono il loro nome a Joel Roberts Poinsett, Primo Rappresentante del Governo degli Stati Uniti in Messico, che riportò delle talee nella Carolina del Sud, credendo che fossero di un nuovo genere, ma poi vennero riconosciute come specie appartenenti alle Euforbiacee. Nelle terre dove crescono spontanee, le poinsettie si presentano come degli alberelli alti anche due metri, caratterizzati da foglie apicali di color rosso (brattee), cinque per ogni gruppo, che circondano i fiori veri, detti ciazi, piccoli, gialli e insignificanti.

Gertrude Jekill, negli anni settanta dell'Ottocento, ne osservò un esemplare nel giardino di un giardiniere ad Algeri, e ne fece una descrizione entusiasta che si trova riportata nel libro "Testamento di un giardiniere":
In quei giorni, l'unico giardino davvero tenuto con cura ad Algeri era quello del nostro amico Mr Edwyn Arkwright. Era un tripudio di piante, troppo numerose per essere elencate, e una delle sue caratteristiche più apprezzabili era un'enorme Poinsettia dall'immensa chioma scarlatta che si innalzava sopra un tronco di un metro e mezzo: una vera meraviglia, specie quando l'idea che di solito si ha di questa pianta è un unico sparuto ciuffo di fiori, come quelli che tanto spesso vediamo a Londra sui tavoli apparecchiati per la cena. Dopo la fioritura, Mr Arkwright soleva recidere la chioma con un falcetto.
Foto scattata a Tenerife dall'auto in movimento: al centro, un po' distante,
si vede un alberello di poinsettia, con i caratteristici "ciuffi" di
brattee rosse, a fianco di un negozio di acconciatore.
Sempre che non siano mèches fatte all'albero dal parrucchiere.

Difficile che qualcuno di noi, in Italia (perlomeno nel nord Italia) abbia in giardino un alberello di poinsettia. Ma un vaso a Natale è capitato in casa a tutti. Come coltivarlo?
I manuali ci dicono che questa specie è brevidiurna, e in natura "fiorisce" in inverno, quando i giorni sono più brevi. Quindi, per indurre le poinsettie a "fiorire" in casa nostra, è necessario esporle almeno a
quattro ore di luce solare diretta al giorno, al riparo da correnti d'aria. Amano temperature notturne dai 10 ai 18 gradi, e diurne di almeno 20 gradi. Tra un'innaffiatura e l'altra bisognerebbe permettere al substrato di asciugare moderatamente. Potate le piante nella tarda primavera, dopo la fioritura, e trapiantate in terra da vaso fresca. I fiori si svilupperanno solo su piante che siano state esposte alla luce alternata a 14 ore giornaliere di oscurità completa per almeno 40 giorni. Concimi chimici che favoriscono il nanismo vengono generalmente usati dai floricoltori per ottenere piante dagli steli corti con diversi apici fioriti. Senza trattamenti speciali le poinsezie diventano piante lunghe e sparute nella stagione seguente. E' preferibile acquistare ogni anno piante nuove (dalla Grande Enciclopedia del Giardinaggio, Mondadori, 1979).
La cosa sembra complicata.
Tutto sommato, per avere un piccolo successo con una poinsettia, sono in realtà necessari pochi accorgimenti, ma ben mirati:
1 - acquistate piante non troppo piccole. I vasi di diametro inferiore o uguale ai 5 cm sono sconsigliati se ambite ad impossessarvi di una pianta che viva a lungo, spesso contengono talee uscite dal vivaio con radici scarse, mentre a voi serve un esemplare con un buon apparato radicale autosufficiente. Anche se il vaso è grande, verificate alla base lo stato di radicazione, per quanto possibile. E, per cortesia, non comprate le piante azzurre: sono state innaffiate con dei coloranti;
2 - mantenete le piante in un punto illuminato della casa durante l'inverno, innaffiate e tenete lontano da fonti di calore;
3 - in primavera, portate la pianta all'esterno in un posto con ombra luminosa (sotto un albero, ad esempio, così sarà protetta dalla grandine). Innaffiate bene tutta l'estate, senza dimenticarla mai, anche se sta in un angolo riparato e fuori mano;
4 - in agosto, quando il caldo è terribile, mettete la pianta in un posto ancora più ombroso, e a fine settembre, o nella prima settimana di ottobre, quando le temperature cominciano ad abbassarsi, ritirate la pianta in casa. Qualche fogliolina rossa dovrebbe essersi già sviluppata. Scommetto che se troverete anche solo una microbrattea vermiglia, mi commuoverete... Io l'ho fatto! I manuali consigliano il ritiro domestico quando la temperatura esterna ed interna sono uguali. Io consiglierei semplicemente di portare in casa quando i termosifoni non sono ancora accesi, ma li accenderete di lì a un paio di giorni. Innaffiate e tenete vicino ad una finestra illuminata, sempre lontano dai caloriferi. Se le foglie ingialliscono dopo uno o due giorni dal ritiro, la pianta ha subito uno shock termico. Le piante faticano a perdonare questo tipo di errore. Anzi, si vendicano spietatamente abbruttendosi sotto i vostri occhi per riempirvi di sensi di colpa...

Le varietà di poinsettia sono numerose, e tutte molto belle. Ecco un po' di foto rubate al blog powellgardens.wordpress.com per illustrarvi alcune delle più interessanti:

poinsettia ice punch

poinsettia orange spice

poinsettia sonora white glitter

poinsettia tapestry, con fogliame variegato


poinsettia winter blush

poinsettia winter rose early marble
 Da non trascurare la ormai diffusissima:

poinsettia premium picasso

Avevo già accennato l'anno scorso alla poinsettia Winter Rose con petali arricciati: cliccate qui.

Colgo l'occasione per augurare a tutti BUON NATALE e BUONE FESTE!!!

giovedì 13 dicembre 2012

Perchè tenere l'orchidea in cucina

Su un blog, mesi fa, avevo letto un articolo in cui una giornalista suggeriva di sfruttare l'umidità prodotta dalla lavastoviglie per rendere più belle le orchidee coltivate in casa.
Da un punto di vista tecnico, l'autrice giardiniera non entrava nei dettagli: osservava che la pianta può essere collocata nelle immediate vicinanze dell'elettrodomestico, così da coglierne i vapori all'apertura. Quindi, non parlava di mettere l'orchidea in lavastoviglie.
La cosa mi ha destato una certa curiosità, e tra me e me ho pensato che la mia lavastoviglie sta a fianco dell'acquaio (termine che non usa più nessuno). In cucina, ho quindi un angolo di elevata concentrazione di umidità. A fianco dell'acquaio, c'è una finestra rivolta ad ovest: una discreta fonte di luce anche in inverno.
Bene, così ho risolto: creo un punto dove coltivare la mini orchidea che mi hanno regalato in maggio.
Ho preso una bottiglia di plastica e l'ho tagliata a metà per il lungo con una forbice, lasciando però intatto il fondo perchè fungesse da vasetto basso. Nella sezione lunga, ho praticato un foro per poter appendere il vaso a un particolare gancio:
la bottiglia intera

La sezione di bottiglia in piedi è il vaso da appendere.
Le parti rimanenti e il tappo sono state scartate.

Il buchetto per il gancio è sottile e orizzontale.

Vicino al lavandino, infatti, sotto i pensili per i piatti e le tazze asciutti, ho piazzato, attaccandolo con il Millechiodi (vai con la pubblicità gratuita) un ingegnoso listello, acquistato all'Ikea con pochi soldi, per appendere i mestoli. Lì ho appeso il vasetto in cui inserire l'orchideina. Unico difetto del listello Ikea: può sostenere solo piccoli pesi (altrimenti va attaccato al muro con delle viti) e i ganci si svincolano troppo facilmente dal binario del listello. Ma, per l'uso saltuario che ne faccio (uso i mestoli di rado), ha un buon valore decorativo e tiene ordine in cucina.

L'orchideina è inserita nella bottiglia tagliata col proprio vasetto trasparente.
Nulla vieta di aggiungere sassi decorativi per nascondere vasetto e radici, ma
non si deve dimenticare che il peso totale (orchidea e sassi) deve essere sostenibile dal listello.
Arrivato l'autunno, però, l'orchideina è stata affidata a mammà (maestra nel far rifiorire le phalaenopsis, infatti la "pargoletta" ultimamente sta sviluppando nuovi boccioli) e il vaso di riciclo è stato sfruttato per farci soggiornare un curioso phlebodium  dall'aspetto di insalata scovato tre mesi fa in un vivaio (la cosiddetta "felce a zampa di lepre"; oltre a questo, posseggo anche il phlebodium aureum di colore più elegante e forse più diffuso, grigio-azzurro. Non conosco i nomi delle due varietà).
Questa "mezza insalata" sta vivendo benissimo sopra il lavandino. Essendo pianta che richiede luce non eccessiva e tanta umidità, è stata accontentata. Non sta tra i piedi quando si cucina, non cade, non sporca, e soprattutto mio marito non ci urta contro. Si gode tutta l'umidità che vuole: lavastoviglie, lavandino, piatti che si asciugano sopra, acqua della pasta che viene scolata sotto, sbuffi del bollitore elettrico del tè di lato... Una sauna perenne che neanche nella foresta amazzonica.
Il phlebodium appeso. Lo innaffio aggiungendo l'acqua nella bottiglia
tagliata. In questo periodo, ne beve un centimetro ogni quattro-cinque giorni.
Nella settimana di Tenerife, ho aggiunto due centimetri
e la pianta è stata autonoma fino al mio ritorno.
Osservate: il vaso che ho ritagliato dalla bottiglia è quasi invisibile, non crea inestetismi nello stile della cucina, qualunque esso sia. E' una cavolata, ma mi sta facendo sfruttare tutte le potenzialità giardinicole di quest'angolo della stanza che sottovalutavo. Ovviamente, può essere ulteriormente perfezionato, scegliendo bottiglie di forma o colore diversi, o appendendolo con l'applicazione di nastri, cordine, puntine... Dipende da come è organizzata la propria cucina. Si potrebbe anche attrezzarlo di calamita e attaccarlo al frigo. Abbiamo visto tutti, credo, in vendita vasi di piccoli cactus attaccabili a superfici metalliche tramite magnete. A me però sono sembrati eccessivamente cari, anche se alcuni erano addirittura dotati di led luminoso. Se si ha una buona dose di fantasia e capacità artigianale, se ne ricava un pensiero da regalare a Natale semplicemente riciclando qualche vecchia bottiglia che vi siete già sbevazzati.

sabato 8 dicembre 2012

Le rose e la neve

 
rosa cubana
Quest'anno, l'autunno caldo e l'improvviso abbassamento delle temperature di dicembre hanno fatto sì che le rose fiorite si incontrassero con la neve.
Lascio parlare le immagini.

rosa nana

rosa nana

ancora rosa cubana

spine di rosa cubana

ibrida di tea

ibrida di tea con cipressi sullo sfondo




rosa poliantha

rose nane accostate al muro

sabato 1 dicembre 2012

Lettera all'Assessore


Come suggeritomi da alcune carissime blogger, e come mi ero proposta di fare, ho inviato una lettera ad un assessore del Comune di Verona relativamente alla manifestazione di Verona in Fiore. Per chi non lo sapesse e non avesse letto il post, che qui linko, spiego: meno di due mesi fa, avevo espresso delle piccole osservazioni ma anche dei suggerimenti per valorizzare meglio questo evento, che si è tenuto finora per solo due edizioni. Una manifestazione ancora agli inizi, e che varrebbe la pena di sviluppare meglio.
Vi riporto il testo dell'e-mail che ho spedito:

Egregio Assessore,
scrivo a Lei perchè mi risulta che l'Assessorato alle attività economiche sia
tra gli organizzatori della manifestazione "Verona in Fiore".
Ho avuto modo di visitare l'edizione di quest'anno: ho trovato l'iniziativa
interessante, ma ho avuto l'impressione che questo evento meriterebbe di essere
valorizzato in modo da renderlo all'altezza di altri che si tengono in varie
città d'Italia, peraltro con grandissimo riscontro di pubblico.
Per cominciare, mi chiedo perchè non si sfrutti come location anche la cornice
di piazza delle Erbe, che storicamente è sempre stata luogo - non sarò io a
raccontarle una novità - di mercato per i prodotti agricoli che venivano dalle
campagne della provincia. Molti di noi veronesi discendenti di famiglie
contadine hanno avuto un nonno, o più facilmente una nonna, che facevano in
bici o a piedi diversi kilometri per portare ai commercianti in piazza
"radisèle" e "molesini". Organizzare un evento magari in primavera, in questa
piazza, dedicato alle erbe aromatiche o alle "piante da orto", sarebbe una
simpatica occasione per celebrare le abitudini passate della nostra città.
Sarebbe anche più facile giustificare la presenza di bancarelle di prodotti
alimentari tipici accanto alla vendita o alla mostra di piante destinate
all'alimentazione. Bancarelle che invece stonano (come almeno a me è parso) in
una piazza Bra invasa di fiori esotici o ricercati. Non mi farei scappare
l'opportunità di avvicinare i veronesi alle specie localmente più diffuse e ai
loro nomi dialettali, oggi quasi sconosciuti: il mènego maistro, i succitati
molesini, l'erba madre, meritano di non sparire dalla nostra memoria.
Nelle altre città capoluogo, si sta diffondendo sempre più, come ormai è
comune all'estero, l'uso degli orti condivisi. A Verona non ci sono spazi da
concedere agli abitanti come luoghi comuni da dedicare a orto? Sottolineo di
nuovo che iniziative come queste, laddove vengono applicate, hanno un buon
successo.
Infine: non è possibile prevedere un evento per permettere alla gente lo
scambio di semi e talee? Non si tratterebbe di mercato, perchè non si
commercerebbe nulla. Sarebbe interessante trovare uno spazio in cui poter
scambiare con altri appassionati di giardino o di orto i propri esemplari
gratuitamente, o per cedere piante che non si possono più tenere in
appartamento a chi invece ha più spazio.
Un'occasione così, non serve evidenziarlo, sarebbe perfettamente in sintonia
con lo spirito di questi ultimi anni di crisi: quello di risparmiare e
riciclare
.
Metto qui il link a un post che ho dedicato a "Verona in Fiore 2012", dove
segnalo alcune mie riflessioni in merito.
Cordiali saluti.
Marta (con cognome)

Non ho ancora ricevuto nessuna risposta, nè so se mai ne riceverò una. Può darsi che 1) l'Assessore interessato... non se ne interessi, 2) l'Assessore non ritenga necessario rispondere, 3) io debba aspettare di più, 4) ho sbagliato indirizzo e-mail.
In ogni caso, sarebbe buon costume che, favorevole o meno alle mie proposte (che, per carità, potrebbero rivelarsi delle cavolate), qualcuno almeno un cenno di "ricezione avvenuta" me lo desse, se non altro per cortesia. Signor Sindaco del Comune di Verona si faccia sceriffo di bon ton, dando il buon esempio in primis con la sua Giunta! Lo dico con spirito amico, ci mancherebbe :-)

Questo sfogo segue però una sensazione disarmante che ho da tempo: troppa indifferenza per chi cerca un dialogo costruttivo, troppa "sordità" agli appelli dei giovani, dei beneintenzionati, di chi ama il proprio Paese. Ricordo quando cercavo lavoro, e spedivo tutti quei curricula che sembrava non andassero da nessuna parte. Altre persone che mi stanno vicino hanno cercato di farsi notare da degli editori, da delle autorità politiche e amministrative per dei progetti o delle idee da sviluppare, ma nessuno si è fatto vivo, indipendentemente dalla qualità della proposta, neanche per dire "sì, grazie, abbiamo ricevuto, ma adesso non ci interessa, o valuteremo in futuro". Mah.

Vedremo se, per la prossima edizione di Verona in Fiore (se ci sarà), qualcuno metterà in atto le piccole cose che ho buttato lì.

Buon fine settimana a tutti, almeno su questo blog ogni tanto qualcuno passa a scambiare due parole su ciò che propongo...

martedì 27 novembre 2012

Tenerife: altri luoghi da visitare per gli amanti del giardinaggio.

Vi ho già parlato del Teide, il vulcano che ha originato Tenerife, e dove è possibile ammirare alcune piante endemiche dell'isola, e in particolare il Tajinaste rojo, ovvero l'Echium wildprettii: una borraginacea resistente ai climi impervi, caratterizzata da fioriture a spiga di un colore rosso molto vistoso.
Vi ho parlato anche della vicina Gomera, e dei paesaggi che si susseguono su di essa a breve distanza (cosa comune anche alle altre isole canarie, che insieme raccolgono qualcosa come 23 microclimi differenti).

la draceana millenaria (foto rubata al web)

A Tenerife esistono alcuni giardini botanici, ma si trovano prevalentemente nei grandi parchi di divertimento tematici che sono stati costruiti di recente: il Loro parque, ad esempio, il parco dei pappagalli, elenca tra le sue attrazioni l'Orquidàrio, una collezione di orchidee, e il singolare Katandra Treetops, riconstruzione di una giungla naturale che i visitatori possono ammirare dall'alto. Ma sono luoghi artificiosi, che io in questo viaggio ho preferito evitare.
Molto interessante, e forse più credibile, è il Jardin Botànico a Puerto de la Cruz, distretto di La Paz, paese a nord dell'isola, aperto al pubblico, ricco di piante per noi esotiche, alcune piuttosto rare, e tra le quali è possibile camminare seguento i numerosi vialetti.
Molto famosa la Draceana millenaria situata a Icod de los Vinos, nel nord dell'isola. L'albero ha una chioma che misura 12 metri di larghezza, e il tronco 14 m di altezza. Nella zona, molte le cantine e le aziende vinicole da visitare.
E' possibile fare tappa anche in qualche vivaio: il piccolo El Draguito (a La Orotava, località Los Rechazos, tel. 922 334112), dove ho acquistato una bustina di semi di Tajinaste rojo e di plumeria (la stagione non è ancora adatta per trovarne delle talee). Nei supermercati è invece facile reperire sementi di piante per noi esotiche, compresa la Sterlizia reginae e la jacaranda, a prezzi che in Italia ce li scordiamo.
Ma non dimenticate, soprattutto se avete dei bambini, di fare una capatina al simpatico  mini golf Santiago (www.parquesantiago.com) a playa de Las Americas: un originale minigolf ambientato in un piccolo giardino affollato di cactus giganteschi.
Occhio a dove vi appoggiate: ci sono spine dovunque!

domenica 25 novembre 2012

Quattro passi sul vulcano di Tenerife

Un'escursione tra le più classiche per chi villeggia a Tenerife: la visita del Teide, ovvero il vulcano che ha dato origine all'isola. Infatti, tutte le isole dell'arcipelago canario sono state generate nei millenni dalle eruzioni laviche della cintura vulcanica che si trova in questa parte dell'oceano Atlantico. A testimoniarlo, come a Madeira, le spiagge naturali, spesso costituite da grossi ciottoli neri: la playa de los Cristianos, una delle più famose di Tenerife, attualmente si presenta come una lunga scia sabbiosa, ma si tratta in realtà di materiale riportato dal Marocco per la gioia dei turisti.
Visitare il Teide, questo picco che si erge a 3718 m sul livello del mare, è possibile con visite guidate alle quali ci si può iscrivere presso l'ufficio del tour operator nell'hotel in cui si soggiorna (se il servizio è presente); oppure, è facile trovare escursioni organizzate dalle agenzie locali. Noi abbiamo scelto l'indipendenza: abbiamo noleggiato un'automobile per una giornata, e siamo partiti da soli. Oltretutto, in Spagna la benzina non costa un cappero.

Per vedere il vulcano sfruttando bene la giornata, conviene partire presto la mattina (almeno alle nove e mezza). Non servono particolari piantiene geografiche per orientarsi, anche con una semplice mappetta turistica si trova la strada facilmente (considerato che la rete stradale a Tenerife non è ancora particolamente complessa).
Appena comincerete a risalire i fianchi del vulcano, noterete intorno a voi la variabilità dei paesaggi, uno più sorprendente dell'altro: vi sembrerà di stare in un posto che fonde in sè i gran canyon del Colorado, le coste irregolari della Corsica occidentale e i mari grigi della Luna. Le atmosfere sono intense, i panorami inaspettati.

Scarsa vegetazione, rocce chiare e terre brulle: i paesaggi
sui pendii più bassi del Teide sono luminosi e silenziosi.

A seconda del tipo di minerali contenuti nelle'eruzione lavica che le ha originate, le rocce possono avere tonalità azzurre, verdi, rossicce, e cambiare completamente aspetto a solo un kilometro di distanza.








Per quanto riguarda la vegetazione, l'elemento più tipico del Teide è l'Echium wildprettii, comunemente chiamato Tajinaste rojo. A novembre, questa pianta, appartenente alla famiglia delle Borraginacee, ha già perso i suoi fiori di un rosso acceso (da cui il nome volgare).
Le rocce e i declivi  su cui vivono si ritrovano coperti da misteriose e lunghe spighe argentate, che ammorbidiscono i profili dei massi irregolari. Se la notte ha gelato, al mattino le spighe brillano nella luce chiara come se fossero d'argento. L'effetto è del tutto surreale.
Seguendo la strada TF 21, a 2356 m, si raggiunge el Teleférico del Teide, una funivia che porta i turisti a 3555 m, dove è collocata la stazione per il ritorno. Da questa altezza, è possibile proseguire il cammino per visitare la cima del vulcano solo se si è in possesso di uno speciale permesso da richiedere in anticipo all'Organismo Autònomo de Parques Nacionales, anche on line all'indirizzo www.reservasparquesnacionales.es.
Dalla stazione di arrivo, anche se non si sale sulla cima, si possono comunque fotografare delle viste molto suggestive: 
la Montana Blanca: si riconosce chiaramente il "tappo" creato dalla lava raffreddata

il cucuzzolo del Teide: praticamente non c'è quasi ombra di vegetazione.
Quassù sopravvivono solo muschi e Gnaphalium teydeum, che
cresce in vicinanza delle fumarole, dove il terreno è sempre umido e caldo, anche in inverno.

Portate con voi una giacchettina a vento o un maglioncino: in autunno, è facile trovare l'aria frizzante per le basse temperature notturne. Io avrei pagato mille euro per un paio di guanti o un copriorecchie, perchè, in alto, in alcuni punti il vento è forte e gelido. Consigliabili, ovviamente, anche scarpe comode e occhiali da sole.
Anche una bottiglietta di acqua nello zainetto è sempre utile, e dei fazzoletti di carta: dove arriva la funivia, ci sono i servizi igienici, ma la carta igienica... no.
Nella foto qui a fianco, i ghiaccioli nascosti fra le rocce.




 

Camminare sul Teide, a certe altezze, fa sentire come "viandanti sul mare di nebbia".

Il colore nero delle rocce sotto il picco del Teide è dovuto alla forte presenza di minerali di ossidiana. Sull'isola, molti negozi vendono monili di questo materiale.









Per maggiori informazioni sul vulcano: www.titsa.com.

Prossimo ed ultimo post: "Tenerife: altri luoghi da visitare per gli amanti del giardinaggio".

sabato 17 novembre 2012

La natura a La Gomera, isoletta canaria.

Viaggio: un soggiorno di 7 giorni sull'isola di Tenerife, nell'arcipelago canario (Spagna), in un hotel-villaggio a metà strada tra playa de las Americas e playa de los Cristianos, la settimana scorsa. Motivo: villeggiatura, saltata in estate causa impegni lavorativi del maritozzo.
Sabato 10 novembre, l'escursione: isola de La Gomera, a sud di Tenerife, 55 minuti di traghetto partendo da playa de los Cristianos, 57 euro a testa comprensivi di spostamento in traghetto, guida che parla quattro lingue escluso l'italiano (spagnolo, belga, inglese, tedesco, ma quel giorno la nostra lingua non c'era...), pullman per la visita dell'isola, pranzo presso ristorante locale.
Il bagaglio: giacchina a vento, scarpe comode, macchina fotografica, bottiglietta di acqua, sacchettino di carta dove riporre semi eventualmente rubacchiabili dalla flora isolana senza farsi beccare.

Otto e mezza del mattino, si parte: il traghetto, "Volcàn de Taburiente", carico di turisti di ogni provenienza (il turismo a Tenerife è davvero internazionale), salpa verso quella che alla nostra vista è ancora solo una sagoma azzurra circondata da qualche nuvola. E' La Gomera, l'isola colombina, così soprannominata perchè lì fece tappa Cristoforo Colombo nei suoi viaggi verso le Americhe. Per quel che ne so, era anche l'isola di provenienza del famoso Yanez, l'amico inseparabile di Sandokan.
Quando La Gomera finalmente ci compare nitida davanti, il sole è alto nel cielo sgombro di nuvole, e siamo sicuri che il tempo meteorologico è dalla nostra parte. La  settimana precedente a Tenerife è invece stata clamorosamente piovosa, come non succedeva da duecento anni, per fortuna l'abbiamo evitata. L'escursione che stiamo per fare parte sotto i migliori auspici.
Attracchiamo a San Sebastian de la Gomera, porto e centro abitato principale dell'isola, che con i suoi 352 metri quadrati di superficie è la seconda isola più piccola dell'arcipelago canario. Saliamo sul nostro autobus, il 38, come indicatoci quando eravamo sul traghetto dalla guida. Seduti in mezzo a una trentina di inglesi di mezza età, mio marito alza il naso, si guarda intorno un po' perplesso. Abbiamo sbagliato pullman! Il nostro è sempre il numero 38, ma diverso, e parcheggiato lì vicino. Scendiamo a razzo per salire su quello giusto, mentre la nostra guida, un uomo sui quaranta-cinquant'anni, simpaticissimo, se la ride e si scusa per il disagio. Non aveva previsto che, su tre pullman presenti in giornata, due avessero lo stesso numero. Altrochè buoni auspici, a momenti ci univamo al gruppo sbagliato!
L'escursione comincia con una risata, mentre il mezzo sale verso l'interno dell'isola, lungo la strada che si arrampica sulle pendici del Garajonay, l'antico vulcano che ha dato origine al luogo. Il panorama che nel giro di venti minuti ci appare è incredibile: nella foto in alto, potete vedere la magnifica vista del mare aperto e sullo sfondo il vulcano Teide di Tenerife. I fianchi del Garajonay sono coperti da una flora di euforbie, fichi d'India, aeonium, che crescono in pieno sole.
erica arborea
Dopo meno di un'ora di viaggio, però, il paesaggio cambia: mano a mano che ci addentriamo verso l'interno, oltrepassati vari tornanti che ci allontanano dalla vista del mare, il clima di irrigidisce. Entriamo nel parco nazionale del Garajonay, ma improvvisamente ci sembra quasi di essere in Scozia. Spariscono le opuntie, il sole si vela di nubi, l'aria è più fredda e la vegetazione si infittisce: interi boschi di erica arborea si aprono intorno a noi. Magnifici. Ci fermiamo per una sosta (motivo: fuga di tutti al bagno), dopo di che la guida ci invita ad entrare a piedi nel bosco, per sentirci nel "corazòn" della natura (beh, parlava spagnolo ma abbiamo chiacchierato insieme un bel po'). Eriche che da noi si fanno ammirare solo a venti centimetri da terra, dilatano sopra le nostre teste i loro rami coperti di muschio verde. Il profumo di sottobosco è delicato; qua è là, cespugli di margherita gigante, denti di cane alti un metro (!), salvia, felci... La guida ci spiega che a La Gomera ci sono due tipi di eriche: la già citata erica arborea, con fiori bianchi, aghetti inclinati, il cui legno è pregiatissimo per la fabbricazione delle pipe; e l'erica scoparia, con fiori rossi e aghetti ritti. 
dente di cane

margherita gigante
Inoltre, a Gomera si possono contare quattro tipi di alloro, di cui uno solo aromatico e utilizzabile in cucina, ma non profumato come quello europeo.
la patata, appesa nel ristorante

Ripartiamo: il paesaggio cambia di nuovo, si arricchisce di betulle e pini canari. Ma non per molto: dopo coste montane adatte alla crescita dei funghi, riprendiamo la via verso il mare, e la flora lascia spazio alle banane, agli alberi di ficus benjamina in più varietà, alle palme canarie (palma canariensis), alle piante di caco, papaya, mango, cactus...
La sosta successiva è presso un ristorante, dove consumiamo un veloce pranzo con pietanze ottenute da piante locali (in particolare, una patata enorme che sembra un tappo di sughero gigantesco, appartenente al genere colocasia). Il ristoratore, con l'aiuto di un ragazzo e di una ragazza, ci dà una dimostrazione del famoso silbo gomero: si tratta di un modo di comunicare antico degli abitanti di Gomera, per trasmettere informazioni a grandissime distanze modulando la voce nel fischio. Altrochè cellulare!
Tappa successiva: il Molino del Gofio, azienda agricola-museo dove la guida ci illustra la coltivazione di diverse specie da frutto (compresa la pianta di pera-melone dal simpatico frutto variegato di viola) e il processo di fabbricazione del "miele di palma canaria", un tipo di miele (non nel senso di quello da apicoltura, ovviamente), estratto dalla pianta attraverso un foro da cui, di notte (perchè gli insetti se ne stiano lontani) viene fatta defluire la linfa (mezzo litro, un litro a notte), da bollire ripetutamente per poi ottenerne una sostanza densa e dolce: il miele, con cui si producono sciroppi e liquori.

il pera-melone

il secchietto per raccogliere il miele di palma
 Dal Molino del Gofio ci dirigiamo infine verso San Sebastian, dove la guida ci sguinzaglia per venti minuti di gironzolo libero, prima di salpare. Visitiamo il piccolo centro, la sua chiesa, un negozio, passiamo davanti alla casa di Colombo (la "casa Colòn", ma c'è solo una piccola targa a ricordarlo).

casa Colòn

Sono le sei, è tempo ormai di tornare a Tenerife. Nelle mie tasche, qualche seme di margherita gigante e una bottiglietta di miele come souvenir per la famiglia. Nel mio cuore, i ricordi di una stupenda giornata di sorprese naturali e passeggiate tra gli alberi muschiosi di erica... 

Non perdetevi il prossimo post: il vulcano Teide.