venerdì 26 luglio 2013

I giardini di Sissi



Non sono mai stata fan di certi personaggi storici portati alla ribalta in anni relativamente recenti da film che poca attinenza hanno con la realtà. Il caso di Elisabetta d'Austria, soprannominata Sissi, è il più significativo: pare che Sissi non fosse veramente dolce di carattere, e si sa che il suo matrimonio non si concluse felicemente. Per di più, lo stesso soprannome "Sissi" sarebbe un vezzeggiativo che lei in vita non avrebbe mai gradito, ma che il marketing contemporaneo le ha appioppato perchè, si sa, ha bisogno di nomignoli -vedi Will&Kate- che facciano affezionare il pubblico ai loro nobili idoli.


Fatta questa premessa di asprigno sapore polemico, giungo al dunque. Questa settimana ho avuto occasione di visitare i tanto osannati "giardini di Sissi", ovvero i giardini di Castel Trauttmansdorff, dove Elisabetta d'Austria soggiornò alcuni mesi nel 1870. Sono diventati famosi per essere stati nominati “Giardino Internazionale dell’Anno 2013” alla Garden Tourism Conference a Toronto (Canada), nonchè “Parco d’Europa nr.6” (2006) e “Parco più Bello d’Italia” nel 2005 (questi premi, certamente significativi, li capisco fino a un certo punto. E' come quando nominano una modella "la più bella del 2013" e l'anno dopo però vince un'altra. Si vede che la prima nel frattempo è diventata "cessa").
Nonostante il mio scetticismo di fronte a certe esche pubblicitarie, la mia impressione in seguito alla visita di questi giardini è quella di aver davvero visto uno dei giardini più belli che esistano, per varietà dei paesaggi e degli stili in esso ricreati, per la cura dei luoghi e per l'intelligente, ma mai becero, sfruttamento commerciale che ne viene fatto valorizzando unitamente anche altre strutture turistiche presenti nella zona.


Innanzitutto, il luogo. I giardini di Castel Trauttmansdorff si trovano ai piedi e intorno all'omonimo castello, nel Comune di Merano (questo il sito internet), verso le Dolomiti, in una zona in cui il clima è misericordioso e permette la coltivazione (seppur con doverosi accorgimenti, come vasi e serre riparate) di piante mediterranee. Non per niente, nell'Ottocento Merano era luogo di villeggiatura di aristocratici di mezza Europa proprio per la mitezza del clima. Qui sono coltivati gli uliveti più settentrionali d'Italia.


Come dicevo, questo giardino (ma bisognerebbe parlarne al plurale per come è composto) è caratterizzato da una grande varietà di paesaggi, che ricreano i bioclimi di tutto il mondo. Nel giro di pochi passi, si possono ammirare piante, alberi e fiori tipici dell'Asia, le peonie e i ciliegi del Giappone, felci preistoriche, boschi di latifoglie del nord America, radure di rododendri, collezioni di ortensie, bianche spiagge di palme. La prima sezione del parco infatti è dedicata ai boschi del mondo.


A questa sezione, segue il percorso dedicato ai Giardini del sole, incentrati sulla vegetazione del clima mediterraneo. In esso sono stati ricreati grandi prati fioriti di colori accesi, lunghe aiuole di lavanda, salvie, una limonaia, un oliveto (un esemplare di olivo ha 700 anni), pendii a macchia mediterranea, una boscaglia di alberi da frutto del Medio Oriente, un bosco di sclerofille, il padiglione delle succulente. Il percorso culmina nella visita alla voliera di pappagalli (ara e lori, che onestamente mi sembravano troppo stressati dalla presenza di turisti) che porta a una terrazza panoramica sospesa nel vuoto.



Curioso l'angolo dedicato alle piante velenose, il cosiddetto Giardino proibito, riempito di statue inquietanti di teschi animali, uomini stilizzati nell'atto di gridare per la paura, mostruosi esseri plasmati saldando assieme vecchi strumenti agricoli.


Ai Giardini del sole, seguono quelli forse più affascinanti del parco, raccolti attorno al laghetto delle ninfee, che sta ai piedi del castello. Si tratta della zona dei Giardini acquatici e terrazzati, che racchiude lunghe pergole di clematidi, giardini all'inglese e all'italiana, un labirinto di bosso, un giardino dei sensi, un roseto, un palmeto, e laghetti di fiori di loto e carpe koi (belle nutrite, cicciottone, solcano le acque velocemente per tampinare i turisti che mangiano panini).


Il padiglione costruito sul lago delle ninfee è luogo di concerti estivi serali. Di sicuro, memorabili, vista la suggestione del posto.


L'ultima sezione del parco è dedicata agli ambienti dell'Alto Adige: vigneti antichi, frutteti, alveari, cereali e orti tipici di montagna concludono la visita dei Giardini di Sissi. Mettete in preventivo che attraversare tutti i giardini chiede un impegno di almeno tre ore, ma per ammirare con calma ogni ambiente, è opportuno tenersi quasi tutta la giornata libera. Ne vale davvero la pena. Usate scarpe comode, e nei giorni di sole (come quelli che stiamo trascorrendo) un berretto è appropriato.



Alle casse dell'entrata, sono proposti due pacchetti interessanti: il biglietto "Terme & ghiacciai", che consente l'accesso ai giardini e alle funivie di Merano, per visitare una terrazza panoramica a 3212 m sul livello del mare, nonchè i siti del ritrovamento della mummia di Oetzi, soprannominato l'uomo dei ghiacci. Oppure, potete acquistare il secondo pacchetto, "Giardini & terme", che vi consentirà l'accesso ai giardini e alle Terme di Merano (magnifiche, curatissime, in centro al paese, con vasche di acqua termale, una addirittura con la musica subacquea...). Il biglietto comprende anche un buono di 8 euro spendibile nei ristoranti del giardino.
Insomma, se non sapete cosa fare in uno dei fine settimana di questa estate, io un suggerimento ve l'ho dato!

domenica 21 luglio 2013

More & mirtilli


Non avendo molto spazio, coltivo piante da frutto di piccole dimensioni. Dire "coltivo" ha del presuntuoso, perchè di sicuro le piantine che ho nel mio orto non richiedono la preparazione e l'impegno di un campo di vigne o di un meleto. Giusto una concimatina ogni tanto, irrigazioni regolari d'estate e un'occhiata settimanale ai parassiti. Poche cose, insomma.
Di conseguenza, anche i raccolti sono esigui, ma in compenso mi diverto tantissimo, perchè effettuarli non affatica, dà solo soddisfazioni.
Quali sono queste mie piantine da piccoli frutti?
Quelle del titolo, direte voi. Acuti osservatori.
Innanzitutto, il mirtillo: si tratta del mirtillo americano (ve lo ho già presentato in questo post). Acquistato in un garden center, ha aspettato mesi prima di trovare una collocazione. A differenza del mirtillo comune, il Vaccinium myrtillus produce frutti un po' più grossi. Come il suo cugino più "piccolo", è una piana diffusa nell'Europa settentrionale e in America. Ama il terreno un po' acido. A casa mia si accontenta di quello calcareo, ma ogni tanto un'innaffiatina di chelati di ferro contribuisce a dargli vigore e rendere le foglie più verdi.
Se avete in mente di coltivare mirtilli, sappiate che i manuali consigliano di impiantare almeno due cultivar diverse, per assicurare la fruttificazione attraverso l'impollinazione incrociata. Il mio mirtillo vive in solitudine e penso che resterà così per un bel pezzo. Dopo aver raddoppiato la produzione per due anni (sì, 8 mirtilli nel 2011, 16 nel 2012, scrupolosamente contati), quest'anno ne sta preparando una trentina. Snervante. Forse sto pagando il prezzo del terreno non adattissimo.
La messa a dimora delle piante di mirtillo va effettuata da marzo ad aprile. La potatura dei cespugli (i mirtilli comuni producono cespugli alti al massimo trenta centimetri) va fatta durante il riposo vegetativo, in tardo autunno, accorciando le piante circa della metà. Questo pare le renda più produttive nelle stagioni seguenti. Il mio mirtillino è così striminzito che l'ho risparmiato da questo trattamento.
Ecco, preparando il post mi sono accorta di non aver scattato neanche una foto al povero mortillo. In questo vecchio post era in fiore.


E poi ho le more. Regalo di un'amica della primavera 2012. La produzione di more avvenuta l'anno scorso è stata limitata a una decina di frutti. Quest'anno ho già raccolto tre scodelle (non le ho pesate), quindi la differenza dall'anno scorso è notevole.


Osservare il cambiamento di colore dei frutti che maturano è straordinario, perchè avviene passando attraverso più colori, dal verdino al verdino-giallo al rosato al rosso al nero, e ad "Arlecchino", nel senso che la mora si scurisce a pezzetti, una bacca dietro l'altra, drupeola dopo drupeola...



La mia pianta è un Rubus fruticosus, ovvero mora di rovo, nello specifico: con spine. Esistono anche le more di gelso, prodotte dall'albero di gelso, e quindi non da cespuglio. La loro raccolta avviene in altezza, sui rami della pianta.


La pianta di more è molto produttiva, resistente, al massimo soggetta alla cocciniglia. Richiede poche cure, buone irrigazioni, e attenzioni alla sua crescita, invadente. E' biennale: il primo anno si sviluppa, il secondo produce frutti e poi muore, sostituita però dai nuovi fusti che essa stessa produce. Esistono in commercio sia varietà che producono cespugli vigorosi ed eretti, sia varietà rampicanti. Tutti ne abbiamo visti in giro per le campagne, dove possono diffondersi facilmente allo stato selvatico.
Anche le more amano il terreno acido (e come il mirtillo a casa mia si accontentano di tutt'altro). Da impiantare in primavera. A fine estate, i rami che hanno già fruttificato andrebbero estirpati per rendere il cespuglio più aerato e scevro da inutili propaggini.


Usare le proprie more per una torta fatta in casa è una grandissima gioia. Provare per credere. Vi riporto una ricetta polacca per un dolce ai frutti di bosco, gentilmente messami a disposizione da mia madre, che per l'occasione (evento storico di rara frequenza) ne ha infornata una, sfruttando le mie more:

TORTA MERINGATA AI FRUTTI DI BOSCO

Ingredienti per la base:
- 400 g di farina
- 250 g di burro o margarina
- 5 cucchiai di zucchero
- 4 tuorli d'uovo
- un cucchiaino di lievito
- un pizzico di sale

Per la meringa:
- 6 albumi d'uovo
- 300 g di zucchero

Per la farcia:
- 4 bicchieri di frutti di bosco
- un cucchiaio di pane grattuggiato

Unire la farina con il lievito e mescolare il tutto con il burro. Aggiungere lo zucchero, i tuorli e impastare. Mettere in frigo per mezz'ora.
Stendere l'impasto e rivestire la forma con i bordi un po' rialzati. Mettere nel forno a 170 gradi per 15 minuti.
Montare gli albumi, a temperatura ambiente e senza tracce di tuorli, aggiungendo un po' alla volta lo zucchero.
Sulla base precotta della torta stendere la frutta lavata, asciugata e mescolata con il pane grattuggiato (che assorbirà il succo che la frutta potrebbe perdere). Cuocere 5 minuti.
Stendere la meringa, abbassare la temperatura a 150 gradi e infornare per altri 30 minuti finchè la meringa non sarà dorata.



Fantastica!

giovedì 18 luglio 2013

Ed ora, echinopsis!


Dopo aver parlato di echinacea ed echinops, ecco che ieri sera è fiorito uno dei miei esemplari di echinopsis.
L'Echinopsis è un genere di cactacee composto da numerosissime specie. Credo che la mia sia un'Echinopsis eyriesii. Il dubbio che ho è dovuto al fatto che, dodici anni fa, è arrivata a casa mia come regalo di una signora, quindi non l'ho acquistata col cartellino in un vivaio specializzato.


Se non è "il", di sicuro è "uno dei" cactus più diffusi sui davanzali italiani. Facilissimo da coltivare, perfetto per i principianti, è originario dell'America meridionale, quindi Argentina settentrionale, Bolivia, Brasile meridionale, Uruguay e Paraguay.



Dotato di un fusto verde scuro, globulare "da giovane", col tempo tendente al cilindrico, non diventa altissimo (max 20 cm), ed ha un diametro di 9 cm. Tende ad accestire, cioè produce intorno a sè un elevato numero di polloni che si sviluppano lungo le costole, verso la base, caratterizzate da spine bianche e nere, corte, su areole chiare. Quando i polloni raggiungono una dimensione di circa 4-5 cm di diametro, possono essere staccati e messi in vaso per conto loro. Molto spesso sviluppano radichette quando sono ancora attaccati alla pianta madre (l'echinopsis della foto è uno dei tanti polloni della pianta che mi è stata regalata, che è ancora in vita).
Questo cactus non richiede particolari cure. A parte la tipica sensibilità ai marciumi basali causata da prolungati ristagni d'acqua, ama un terreno leggero ed aerato, ma tollera anche un certo grado di argillosità. E resiste a brevi e leggere gelate. In inverno, soprattutto nel nord Italia, va però portato al riparo, in luoghi freschi (15-18 gradi, per garantire la fioritura l'anno successivo).
Concimazioni settimanali da aprile a settembre, ma non strettamente necessarie. Moltiplicazione, come ho detto, da pollone. Esposizione in pieno sole, soprattutto durante la fioritura, o tutt'al più mezz'ombra luminosa e calda. Ogni tre-quattro anni controllate il panetto di terra, se potete, estraendolo dal vaso: le radici sono sensibili alla cocciniglia farinosa. Periodici cambi di terriccio sono, per questo, salutari.


La cosa che rende così popolari le echinopsis sono i loro fiori straordinari, e facili da ottenere. Hanno corolle di diametro sui 10-12 cm, talvolta di colore forte, rosso, molte altre volte (dipende dalla specie) di colore bianco. Quello della mia echinopsis ha petali sfumati di un rosa delicato. I fiori dell'Echinopsis subdenudata, di cui vi ho già parlato qui, sono meravigliosamente profumati.
Unico difetto: durano un giorno. Il fiore della foto, dopo una lunga "gestazione" (il cactus ci impiega almeno un mese a svilupparlo tutto), si è schiuso ieri sera e stasera ha già mostrato alcuni petali sgualciti.


Confrontare la lunghezza dello stelo del fiore con l'altezza del cactus in sè, tutto tozzo, la dice lunga sullo sforzo che la pianta deve aver fatto per produrlo! In questi anni le mie piante ne hanno emessi parecchi, ma ogni estate è un'emozione vederli schiudersi nella penombra della sera...


giovedì 11 luglio 2013

Echinops ed echinacea

echinacea purpurea
echinops

Echinops ed echinacea sono due nomi di pianta che sul dizionario stanno vicino a causa della loro etimologia: entrambi derivano da  echinos, che in greco significa "riccio" (il mammifero), in riferimento alla forma appuntita dei fiori e delle foglie di queste specie.
Echinops ed echinacea stanno bene anche coltivate vicine, perchè fioriscono nello stesso periodo. Sono entrambe erbacee perenni, piante che in inverno lasciano morire completamente la parte aerea per sopravvivere sotto forma di radici fino al ritorno della primavera.
Entrambe sono piuttosto alte: l'Echinacea purpurea raggiunge il metro di altezza, l'Echinops ritro lo supera un po'. La prima apre fiori che sembrano mescolare nelle fattezze quelle di un girasole e di una margherita. Col passare del tempo, i petali si flettono all'indietro e il capolino del fiore assume una curiosa forma tipo pallina da volano appuntita. L'echinops invece sfodera dei fiori a palla, globosi, che si riempiono gradualmente di corolline azzurre: un colore davvero affascinante, che attira tantissime api, e risalta molto anche nelle zone un po' ombrose del giardino. Anche il suo fogliame è molto interessante, sebbene irto e fastidioso al tatto.


Echinops ed echinacea sono piante dalle esigenze colturali pressochè simili: amano le zone soleggiate, ma nel mio giardino si accontentano anche di posti non colpiti costantemente dalla luce diretta del sole. Prediligono terreni ben drenati, che non facciano marcire le radici in inverno. Poichè la crescita dei cespugli è piuttosto importante, nel senso di ingombrante, ogni esemplare ha bisogno di almeno 60 cm di spazio intorno. Si moltiplicano per divisione del cespo, o per talea radicale, in primavera, quando le prime foglie si fanno vedere uscendo da terra e potete, grazie a loro, individuare dove si nasconde la pianta.


L'echinacea purpurea è disponibile nei vivai in tante varietà, che hanno fiori con colori diversi dal tradizionale rosa: petali carminio con disco marrone per "The King"; petali (o, meglio, "ligule") rosso pomodoro per la stupenda "Tiki Torch" a fiore largo; giallli in varie tonalità per "Coconut Lime", "Flame Thrower" e "Maui Sunshine" (quest'ultima leggermente profumata); bianchi per "Fragrant Angel", "Greenline", "Meringue" e "Secret Pride"; gialli, arancio e poi rossi per "Hot Summer"...
Meno vario l'echinops, che però è un ottimo fiore da taglio e pare sia perfetto anche da essiccare, se raccolto nel momento della piena fioritura. Io però non ho mai provato. Segnalo "Veitch's Blue", caratterizzato dalla lunga produzione di fiori da metà estate fino ad ottobre.
Nelle foto, i fiori del mio giardino. Qui un post in cui avevo già parlato dell'echinops (uno dei miei primi post, a rileggerlo adesso mi sembra quasi "acerbo").

foglia di echinops

mercoledì 3 luglio 2013

Hippeastrum e Amaryllis

Lo conoscete già: è l'ippeastro che ho comprato nel 2011, gli ho dedicato una pagina del blog. La sua prima fioritura, avvenuta durante la stagione fredda, non è stata particolarmente ricca.
Ne è seguito un lungo periodo di stasi, durante il quale il bulbo ha continuato ad emettere foglie. Lo scorso inverno, non ho voluto forzare il bulbo perchè andasse di nuovo in fioritura, e l'ho lasciato in serra, dove è stato fino a due mesi fa. Poi, tutto all'improvviso, un paio di settimane fa, scopro lo stelo del fiore, ed eccolo qua, aperto e trionfante, in piena estate:


Un bellissimo colore rosso pieno, ma non conosco la varietà. Forse un "Red lion", o un "Orange Souvereign". Magari me lo sapete dire voi.
Viene comunemente chiamato amaryllis, o amarillide, o amarillo, ma si tratta di un Hippeastrum, e appartiene alla famiglia delle amarillidacee.
Il vero amaryllis è questo:
fonte dell'immagine: http://commons.wikimedia.org
L'Amaryllis è un genere che comprende una sola specie, originario dell'Africa meridionale. Ha un "comportamento" speciale: in primavera produce foglie che muoiono all'arrivo dell'estate. Dopo circa un mese, dal bulbo esce lo stelo del fiore, molto lungo, circa 60 cm, che nel giro di un paio di mesi si apre in mazzi di sei-dodici imbuti, molto profumati, di colore rosa o bianco, con l'interno giallo. 

Foto da www.amo-bulbi.it. Dipinto di amaryllis di Pierre-Joseph Redouté

L'Hippeastrum è più delicato, nei nostri climi non è rustico, e in autunno-inverno produce quattro fiori, sempre a imbuto, davvero molto grandi, ma meno profumati (o per nulla). Lo stelo è leggermente più corto di quello dell'amaryllis, e può crescere a una velocità straordinaria (infatti l'ho notato che era già lungo trentacinque centimetri). A me sembra anche un po' più elegante. Da noi è facile trovarlo in vendita, fiorito o in bulbo, durante la stagione fredda: spesso viene utilizzato per decorare le case a Natale.

Le modalità di coltivazione dell'ippeastro e dell'amaryllis sono sotto certi aspetti simili, anche se i periodi di fioritura sono differenti. Nelle zone che non vantano un clima mite in inverno, vanno tenuti in un vaso basso e largo da ricoverare in appartamento o in luogo riparato dal gelo, e vanno interrati per tre quarti. Il bulbo deve essere piantato dall'autunno alla primavera, con terriccio leggero per evitare ristagni idrici. Innaffiare regolarmente finchè ci sono le foglie, poi sospendere le irrigazioni. Concimare con un concime ricco di potassio per favorire la fioritura. 


Perchè il mio ippeastro è fiorito adesso invece che in inverno? I bulbi che si acquistano in autunno per la fioritura invernale sono stati sottoposti dai vivaisti a un trattamento di sosta in celle refrigerate per "imbrogliarli" e spingerli a fiorire poco dopo l'invaso. Come se, arrivando nei nostri appartamenti riscaldati, trovassero la primavera e gli venisse voglia di fiorire. Poverini. Quindi, è un periodo di freddo anticipato artificialmente in estate che induce l'ippeastro a fiorire in inverno.
Io ho seguito la procedura forzata di coltivazione solo i primi mesi dall'acquisto (per procedura forzata intendo l'invaso in autunno). Terminata la prima fioritura, non sono più riuscita a "capire" il bulbo. L'ho tenuto nel vaso, ho dato acqua solo nella bella stagione. Non l'ho più forzato, cioè non l'ho sottoposto a un periodo di freddo (ma non troppo intenso) in un apposito cassone, come invece si potrebbe fare. E l'ippeastro ha seguito il suo corso naturale, fiorendo col bel tempo, dopo l'inverno trascorso in serra.


Le amarillidaceae sono una famiglia di piante monocotiledoni distribuita prevalentemente nelle zone tropicali o subtropicali, e che comprendono alcune delle più belle bulbacee che esistano: oltre all'amaryllis e all'ippeastro, il Galanthus nivalis (bucaneve), la clivia, l'Hymenocallis, il Leucojum (campanellino, parente stretto del bucaneve), il narciso, le nerine, il Pancratium, lo Scadoxus, e molte altre meno conosciute. Si tratta di specie caratterizzate da apparati radicali robusti, e che possono vivere anche in poca terra.



In fin dei conti si potrebbe fare un giardino anche solo di piante di questa famiglia, e si avrebbero aiuole fiorite praticamente in tutte le stagioni!
Qui un link per approfondire la coltivazione dell'ippeastro.
Qui un link per la coltivazione dell'Amaryllis Belladonna.